The Lancet: "Italia, dati sanitari nel caos, con l'autonomia differenziata rischio disgregazione"
Un recente articolo pubblicato da "The Lancet Regional Health Europe" ha riportato l'attenzione su un problema strutturale che impedisce un'efficace gestione del SSN: la grave frammentazione dei dati sanitari in Italia e la mancanza di armonizzazione tra i vari sistemi regionali digitali.
La critica all’Italia, giunta dall'autorevole rivista scientifica, non stupisce chi opera quotidianamente nel settore sanitario. La frammentazione non riguarda soltanto la suddivisione regionale, con 19 regioni e 2 province autonome che operano con 21 sistemi differenti, ma si estende anche all'interno delle singole Aziende Sanitarie Locali (ASL) e persino tra i reparti dello stesso ospedale. Ogni struttura adotta software diversi, spesso non interoperabili, che rendono difficile la condivisione delle informazioni sanitarie dei pazienti. E in un paese in cui, secondo dati Agenas, nel 2023 sono state 668mila le persone ricoverate in una regione diversa da quella di residenza, rendere interoperabili i dati sanitari evitrebbe ai pazienti di ripetere esami diagnostici.
Molti pazienti del Sud Italia, spesso penalizzati da risorse sanitarie più limitate, si rivolgono agli ospedali del Nord, meglio attrezzati, per ricevere cure di qualità superiore. Tuttavia, la mancanza di sistemi digitali integrati ostacola l’accesso alle cartelle cliniche da parte delle strutture ospedaliere, portando alla ripetizione di test diagnostici e a ritardi nei trattamenti. Questa assenza di interoperabilità dei dati, oltre a rallentare l’assistenza e potenzialmente peggiorare gli esiti clinici, contribuisce a un rilevante aumento dei costi per la mobilità sanitaria interregionale. Secondo l’ultimo rapporto sulla mobilità interregionale della Fondazione Gimbe, nel 2021 la spesa per la mobilità sanitaria ha raggiunto i 4,25 miliardi di euro, con un incremento significativo rispetto ai 3,33 miliardi del 2020.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) racchiude un potenziale ancora inespresso. Progettato per tracciare le storie cliniche dei pazienti e consentire ai cittadini di consultare referti, ricevere ricette elettroniche e accedere alla propria storia clinica, il FSE subisce ritardi nella sua implementazione e diffusione proprio a causa dei problemi sopra evidenziati. L'esecutivo di Mario Draghi aveva destinato, nell’ambito del Pnrr, 1,67 miliardi di euro per potenziare il Fascicolo sanitario elettronico per rendenderlo utilizzabile su tutto il territorio nazionale. Ad oggi, però, secondo il monitoraggio realizzato da OpenPolis, solo il 9,7% di questi fondi è stato effettivamente speso. Non solo, secondo la Fondazione Gimbe, i documenti messi a disposizione sul Fse sono solo il 79% di quelli previsti dalla legge.
A questo si aggiunge anche la diffidenza dei cittadini verso l'utilizzo di tale strumento, aggravata da una normativa rigida sulla privacy, che ostacola la condivisione dei dati sanitari per scopi di ricerca. Come suggerisce "The Lancet", a differenza di altri Paesi europei che hanno adottato il principio del "legittimo interesse" per consentire l'uso dei dati senza basarsi esclusivamente sul consenso individuale, l'Italia fatica a bilanciare i diritti alla privacy con l'interesse pubblico a migliorare l'assistenza sanitaria e promuovere l'innovazione. Senza una piattaforma centrale, infatti, i ricercatori devono fare domanda ai comitati etici per la privacy delle singole istituzioni, che possono respingere le richieste senza una giustificazione scientifica sostanziale. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, segnando un calo significativo. Il FSE viene spesso utilizzato in modo individuale, senza supportare un'analisi collettiva dei dati utile per la ricerca epidemiologica e il monitoraggio delle malattie. Oltre a proseguire con la realizzazione del Fascicolo Sanitario 2.0, alimentandolo in modo omogeneo e pervasivo con documenti e dati e arricchendolo di servizi utili al cittadino, per promuoverne l'adozione sarà necessario rendere maggiormente evidenti ai cittadini i benefici derivanti dal suo utilizzo.
In tutto questo disordine, il governo a guida Meloni continua a perseguire la strada della divisione proponendo l'autonomia differenziata come panacea di tutti i mali italiani. Su questo punto è stata secca la bocciatura della riforma da parte del The Lancet Regional Health Europe. La definisce come una minaccia che "decentralizzerà ulteriormente la governance sanitaria, approfondendo la frammentazione e le disparità tra regioni invece di promuovere una raccolta e una condivisione armonizzate dei dati". Ed è facile immaginare come la questione dipenda poco dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che finora hanno fallito su tutti i fronti.
Un impianto, quello italiano, che urge quindi delle giuste riforme per non intaccare ulteriormente la qualità del sistema cure. A maggior ragione se consideriamo che entro il 2050 la popolazione italiana diminuirà dell'8%, con il 35% della popolazione over 65 e solo l'11% sotto i 14 anni. Un declino demografico inesorabile con invecchiamento della popolazione che metterà ulteriormente a dura prova i sistemi sanitari e sociali, aumentando la domanda di cure croniche e a lungo termine. Creare un sistema sanitario integrato e armonizzato diventa quindi essenziale per stabilire una rete che supporti l'interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione efficiente del SSN.
Riferimenti: The Italian health data system is broken, The Lancet, January 2025, doi: 10.1016/j.lanepe.2024.101206
Vincenzo Pio Tetta
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