La nuova era Trump: la politica estera tra protagonismo globale e sfide economiche
Il Presidente eletto Donald Trump entrerà ufficialmente in carica il 20 gennaio quando giurerà come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Cosa aspettarsi dalla politica estera tra protagonismo globale e sfide economiche?
Inizierà a mezzogiorno del venti gennaio duemilaventicinque la nuova Presidenza di Donald Trump, il secondo capitolo di quanto successo nel 2016 – la prima Amministrazione Trump iniziò ufficialmente il 20 gennaio 2017 - e della battuta di arresto nelle elezioni del 2020. Quello di Donald Trump non sarà solo un ritorno alla Casa Bianca, saranno quattro anni di un Presidente che nel tempo trascorso fuori dal potere non solo ha dominato il possesso del Partito Repubblicano ma ne ha trasformato completamente l’identità rispetto a dieci anni fa quando durante la campagna elettorale per le elezioni primarie era dato per sfavorito rispetto ad altri notabili del partito.
Ma quale politica estera aspettarsi? Sono entambi della Florida e due falchi in politica estera gli uomini che guideranno e praticheranno la politica estera a stelle e strisce: Marco Rubio quale Segretario di Stato e Mike Waltz quale consigliere per la sicurezza nazionale. Una politica estera che, sebbene nella sua narrazione il tycoon assume i connotati di un progressivo disimpegno, in realtà si tradurrà in un nuovo e più ampio protagonismo mondiale totale sull’economia e i due principali avversari Cina ed Iran. E se per il secondo la nuova Amministrazione statunitense cercherà di attuare la politica di massima pressione attraverso l’imposizione di nuove sanzioni sulle esportazioni di greggio iraniano affinché l’Iran abbandoni del tutto le aspirazioni nucleari, nell’atteggiamento nei confronti della Cina sono proprio i meccanismi dell’economia l’obiettivo che in testa al Presidente Trump oltre la questione dei dazi sui prodotti cinesi.
E sarà proprio Marco Rubio l’uomo chiave in funzione anti cinese: il nuovo Segretario di Stato è destinatario di sanzioni da parte di Pechino per il suo sostegno all’Hong Kong human rights and democracy act del 2019 e all’Uyghur forced labor prevention act, due legislazioni volte a colpire le violazioni dei diritti umani perpetrati da Pechino nel territorio autonomo il primo, e ad impedire l’importazione di merci cinesi prodotte ricorrendo al lavoro forzato con il secondo.
E se il famoso sud del mondo ha avviato un progressivo percorso di riorganizzazione del sistema economico mondiale, vedremo nei prossimi anni se avranno forza e capacità per realizzare l’obiettivo, la Cina sarà il principale avversario americano proprio perché nel corso degli ultimi decenni è stata l’attrice protagonista del tramonto della dottrina Monroe. Con i suoi massicci investimenti in quel che è considerato il cortile di casa degli States ovvero l’America Latina, Pechino ha allargato la sua influenza globale nella regione, si è garantita l’approvvigionamento di materie prime critiche (soprattutto in Brasile) fondamentali per l’industria domestica di auto elettriche e di elettronica e cerca di emanciparsi e sottrarsi al congestionamento del traffico marittimo delle rotte commerciali globali attraverso il Canale di Panama mediante il porto di Chancay in Perù quale nuovo corridoio commerciale per il trasferimento delle merci verso il mercato asiatico. In questo quadro si inseriscono le dichiarazioni recenti di Trump sul Canale di Panama, la metafora della forza americana utilizzata da Ronald Reagan nel corso delle primarie repubblicane quale argomento che, seppur non consentì allo stesso Reagan di vincere la nomination per le elezioni generali poi perse da Gerald Ford contro Carter recentemente scomparso, fece presa sull’elettorato più a destra del partito repubblicano.
Ed è nella medesima ottica che bisogna leggere la recente attenzione del presidente eletto riservata alla Groenlandia quale posizione geostrategica per gli Stati Uniti in ottica anti Russia e anti Cina per la nuova possibile rotta commerciale creatasi in seguito allo scioglimento della calotta polare che diminuirebbe sensibilmente i tempi per il trasferimento delle merci da est a ovest, nonché per l’imprescindibile ruolo strategico per lo sfruttamento di ferro – componente militare - e del giacimento di terre rare presenti sull’isola.
La competizione commerciale – e sullo sfondo anche militare - tra l’aquila americana e il dragone cinese sarà sempre più accesa, renderà l’immagine della globalizzazione più sbiadita e rinsalderà portandolo all’estremo il rapporto feudale tra gli Stati Uniti e il vecchio continente. Sia per quanto riguarda il settore dell’automotive, l’obiettivo è tenere sotto scacco l’intera filiera euroatlantica, sia per quanto riguarda la politica.
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