Le mille e una tregua di Israele

Israele e le violazioni delle pause di guerra: un’analisi storica e politica delle tregue infrante nelle guerre arabo-israeliane e israelo-palestinesi

 

 
Foto di NoName_13 da pixabay

Le guerre arabo-israeliane e israelo-palestinesi, rispettivamente avvenute tra il 1948-1982 e il 1987-2025, sono state caratterizzate da ripetuti periodi di ostilità seguiti da tregue temporanee e cessate il fuoco. Nonostante i tentativi di negoziare una pace stabile e duratura, Israele ha frequentemente violato tali pause, alimentando cicli di violenza che hanno impedito la realizzazione di un accordo di pace definitivo. Questo articolo si propone di analizzare le occasioni in cui Israele ha infranto le tregue nel corso dei conflitti, esplorando le motivazioni politiche e militari alla base di tali violazioni e giungendo alla conclusione che l’enfasi sulla ricerca di una pace temporanea sia, nella realtà, un obiettivo politicamente inefficace.

Le violazioni delle tregue da parte di Israele risalgono ai primi conflitti del dopoguerra. Durante la Guerra del 1948, che seguì la fondazione dello Stato di Israele, le violazioni delle pause di guerra furono frequenti. Nonostante l’armistizio del 1949, che segnò la fine delle ostilità ufficiali tra Israele e gli stati arabi circostanti (Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq), la situazione rimase instabile. Israele continuò ad ampliare il suo territorio e a mantenere una posizione difensiva che ha contribuito a minare la fiducia tra le parti. I periodi di tregua non furono mai veramente duraturi, a causa della persistente sfiducia tra Israele e i suoi vicini. Nel 1956, durante la crisi di Suez, Israele violò nuovamente le condizioni internazionali di cessate il fuoco. Nonostante le pressioni internazionali e l’intervento delle Nazioni Unite, che negoziarono un cessate il fuoco tra Israele, l’Egitto e le potenze occidentali (Francia e Regno Unito, coinvolte nell’operazione congiunta contro il governo di Gamāl ʿAbd al-Nāṣir Ḥusayn in Egitto), Israele proseguì con le sue operazioni nel Sinai e Gaza, suscitando critiche e contribuendo al consolidamento dell’inimicizia con i paesi arabi.

Nel conflitto del 1967, noto come la Guerra dei Sei Giorni, Israele adottò una politica di “pre-emptive strike” contro i suoi vicini, in un contesto di crescente tensione provocata dal blocco dello stretto di Tiran da parte egiziana e dal rafforzamento delle truppe siriane e giordane ai confini israeliani. Nonostante alcune dichiarazioni di cessate il fuoco, il conflitto si risolse con una vittoria militare di Israele, con la creazione di nuove fratture che fecero sfumare qualsiasi possibilità di pace a lungo termine; l’occupazione della Cisgiordania, Gaza, e Gerusalemme Est divenne un punto centrale di conflitto e di contesa internazionale. La Guerra dello Yom Kippur del 1973 fu un altro esempio di come le tregue, seppur raggiunte, non furono realmente efficaci. In seguito all’inizio del conflitto, l’intervento delle Nazioni Unite portò ad un cessate il fuoco, ma le violazioni furono ancora evidenti, con Israele che continuava ad operare in alcune aree strategiche (quali le alture del Golan e il canale di Suez) nonostante gli accordi raggiunti.
 

Con l’inizio della Prima Intifada (1987-1993), che segnò l’insorgere di una resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana, le tregue temporanee furono frequentemente interrotte da operazioni militari israeliane. Sebbene lo Stato ebraico avesse accettato di avviare dei negoziati con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e di instaurare periodi di cessate il fuoco, le violazioni furono ricorrenti, con attacchi alle città palestinesi (quali Nablus, Ramallah e Gaza) e operazioni di repressione contro i manifestanti. Durante la Seconda Intifada (2000-2005), la violazione delle tregue diventò una caratteristica ricorrente. Israele, pur dichiarandosi pronto al dialogo, ha spesso fatto ricorso alla forza militare per rispondere agli attacchi palestinesi (inclusi attentati suicidi a Gerusalemme e Tel Aviv), danneggiando ulteriormente il processo di pace. Nonostante i periodi di cessate il fuoco negoziati da mediatori internazionali, le operazioni come l’Operazione “Scudo Difensivo” nel 2002 dimostrarono la difficoltà di mantenere i suddetti accordi. Nel corso delle successive Guerre di Gaza (2008-2009, 2012, 2014, 2021), Israele ha nuovamente infranto le pause umanitarie e le tregue temporanee; ogni qual volta una tregua veniva raggiunta, le operazioni israeliane riprendevano quasi immediatamente, in seguito ad attacchi di razzi da parte di gruppi armati palestinesi e giustificazioni politiche interne (tra le altre, l’operazione “Piombo Fuso” del 2008 e l’operazione “Margine Protettivo” del 2014). Questi conflitti hanno mostrato come la diplomazia internazionale possa solo parzialmente rallentare l’escalation delle violenze, ma non effettivamente eliminarla.

Il 7 ottobre 2023, alle ore 6:30 locali, il movimento palestinese Hamas ha lanciato l’operazione denominata “Alluvione di Al Aqsa” contro Israele. Dopo oltre 15 mesi di conflitto, il 17 gennaio 2025, il governo israeliano ha approvato un accordo di cessate il fuoco con Hamas, mediato da Qatar, Stati Uniti ed Egitto. L’accordo prevede l’inizio della tregua a partire da domenica 19 gennaio 2025, con il cessate il fuoco che entrerà in vigore a mezzanotte. La prima fase dell’accordo include il rilascio di 33 ostaggi israeliani da parte di Hamas, in cambio della liberazione di 735 prigionieri palestinesi detenuti in Israele. In seguito, la tregua si svilupperà in tre fasi distinte: la prima fase, della durata di un mese e mezzo, prevede il ritiro graduale delle truppe israeliane dal centro di Gaza, permettendo ai palestinesi sfollati di fare ritorno alle proprie abitazioni. Durante questo periodo, saranno inviati quotidianamente 600 camion con aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, e saranno avviati lavori di riparazione dei centri sanitari danneggiati. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha avvertito che, qualora la seconda fase dell’accordo dovesse fallire, le operazioni militari riprenderanno con il sostegno degli Stati Uniti, dichiarando di aver ricevuto garanzie inequivocabili in tal senso dai presidenti Joe Biden e Donald Trump.Nonostante l’annuncio dell’accordo, gli scontri sono proseguiti fino all’entrata in vigore del cessate il fuoco, con un bilancio di oltre 120 vittime nella Striscia di Gaza a partire dal mercoledì precedente. 

Questo accordo, sebbene appaia come un tentativo verso la de-escalation del conflitto israelo-palestinese, rischia di rivelarsi l’ennesima illusione nel lungo elenco di tregue infrante, poiché la sua efficacia rimane subordinata a un impegno reciproco che, storicamente, si è dimostrato spesso inconsistente e incapace di affrontare le radici profonde del conflitto. È plausibile sperare in una pace definitiva?


 Sara Scampini

 


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