Mattia Concetti: l’ennesima vittima di un sistema penitenziario fallimentare

"Mamma non mi lasciare, se mi portano di nuovo laggiù io mi impicco’’. 
 
Queste sono le ultime parole pronunciate durante il colloquio con la madre da Mattia Concetti, giovane detenuto per reati contro il patrimonio nel carcere di Ancona toltosi la vita il 5 gennaio scorso. Si può ben comprendere come la morte di questo giovane ragazzo ad Ancona, come quella di molti altri, era già uno scenario facilmente prevedibile se si considera che Matteo, affetto da problemi psichici aveva manifestato il suo malessere e nonostante ciò era finito in isolamento dopo aver aggredito un poliziotto. Inoltre ci fa riflettere anche il fatto che, nel 2022, delle 85 persone decedute in carcere alcune avevano sperimentato tentativi di suicidio, altre si trovavano in regime di grande sorveglianza e altre ancora senza fissa dimora (Fonte: studio ‘’per un’analisi dei suicidi negli Istituti penitenziari’’del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà del 2022) .



Purtroppo quello di Mattia Concetti è solo uno dei nomi che si aggiunge alla numerosa lista dei suicidi nelle carceri italiane. Infatti scorgendo i dati raccolti dall’associazione ‘Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale’ sono 68 le persone che si sono tolte la vita in carcere. Si registrano così per ogni 100 detenuti 16,3 atti di autolesionismo , 2,3 tentati suicidi, 2,3 aggressioni ai danni del personale e 4,6 aggressioni a danni di altre persone con in tutto 85 persone morte nel 2022. Nonostante questi seri campanelli d’allarme però lo Stato rimane ancora una volta inerte.


Ma cosa sta alla base di questo problema? Sicuramente le criticità del nostro sistema carcerario quali sovraffollamento, età media dei detenuti, il divario numerico tra la presenza di uomini e le donne a cui si aggiungono condizioni igieniche precarie e carenze di risorse. La popolazione carceraria sta crescendo sempre più velocemente: al 30 novembre i detenuti erano 60.116 a fronte di 51.272 posti ufficialmente disponibili facendo alzare il tasso di affollamento al 117%: questo vuol dire che ci sono in media 7 detenuti per ogni 6 posti letto disponibili.Dati preoccupanti se si considera che l’Italia è stata già condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo per violazione dell’articolo 3 CEDU.


La prima condanna è arrivata nel 2003 nella causa Sulejmanovic contro Italia riguardante un cittadino della Bosnia-Erzegovina detenuto nel carcere di Rebibbia che si era rivolto alla Corte di Strasburgo lamentando una violazione dell’art 3 della CEDU. Durante la sua permanenza nel carcere romano, infatti era stato costretto a dividere diverse celle con tante persone al punto da poter disporre di uno spazio personale di circa 2,70 metri quadrati prima e di 3,40 metri quadrati successivamente ben al di sotto dei parametri,indicati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT), che individuano in 7 metri quadrati la superficie minima auspicabile di cui ciascun detenuto deve poter disporre all'interno della propria cella.


La seconda condanna da parte del CEDU per il nostro Paese arriva dopo ben 10 anni con la sentenza Torreggiani che riconosce validi e ammissibili i ricorsi presentati da Mino Torreggiani e altre sei persone costrette a vivere per mesi in celle la cui superficie era meno di tre metri e definisce per la prima volta il sovraffollamento come "un carattere strutturale e sistemico che esprime un malfunzionamento cronico del nostro sistema penitenziario". 


Dopo la seconda batosta, il governo italiano però decide di correre ai ripari in particolare emanando la cosiddetta legge "svuota carceri" che agisce su due fronti: 

  • contrastare il sovraffollamento carcerario ricorrendo a pene più lievi, ad un utilizzo maggiore del braccialetto elettronico e un innalzamento del limite di pena per la concessione dell’affidamento ai servizi sociali; 
  • tutelare i diritti dei detenuti istituendo la figura del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Se nel 2014 la situazione sembra migliorare, tuttavia con l’avvento della pandemia covid-19 l’Italia torna a farsi i conti con lo stesso problema.


Ricordo che le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (meglio conosciute come REMS) non sono uno strumento alternativo al carcere. Non possono essere usate come alternativa per il sovraffollamento essendo un istituto destinato a persone dichiarate socialmente pericolose e in tutto o in parte incapaci di intendere e di volere al momento della commissione del fatto. E in ogni caso la stessa Corte Costituzionale ha asserito che le liste di attesa sono molto lunghe e non garantiscono effettivamente il diritto alla salute del condannato e i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni. 


A tutto ciò si sommano ulteriori punti di criticità: 

-in alcune carceri italiane, sono state segnalate condizioni igieniche precarie con preoccupazioni riguardanti la pulizia delle celle, la disponibilità di servizi igienici adeguati e la gestione dei rifiuti:

  • alcuni detenuti incontrano difficoltà nell'ottenere cure mediche adeguate che compromette il loro benessere complessivo;

carenza di risorse finanziarie e umane: a fronte di moltissimi detenuti, sono poche le ore dedicate agli incontri con psicologi e psichiatri (circa 10 ore e 20 ore secondo Antigone). 


Nonostante gli sforzi compiuti per affrontare questi problemi e migliorare le condizioni nelle carceri italiane, siamo ancora lontani dal riveder le stelle. È importante notare che miglioramenti significativi richiedono tempo e risorse aggiuntive. Il sistema penitenziario nel suo complesso si discosta nettamente dalla funzione rieducativa su cui si fonda il nostro ordinamento non rispettando l’art. 13 e l' art. 27 della nostra Costituzione. È necessario, quindi, che lo Stato impieghi ingenti risorse umane ed economiche per non continuare ad alimentare l'attuale fallimentare sistema carcerario, incentivando l’utilizzo di misure alternative alla detenzione, facilitando l’inserimento lavorativo del condannato e favorendo strumenti come la messa in prova e l’assunzione di nuovi personale che tutela della salute psicofisica dei detenuti. È utile a questo proposito seguire le raccomandazioni di organizzazioni umanitarie, come Antigone, Amnesty International e il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa che monitorano costantemente lo stato di salute del nostro sistema carcerario.

 

Dalila Ascia

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